Nel giro di pochi giorni, a marzo 2023, sono usciti sotto i tipi degli U2 un disco, “Songs of surrender”, e un documentario, “A Sort of homecoming”.
Il primo è una raccolta di 40 (!) canzoni riviste, risuonate e ricantate, in una sorta di “best of…” molto sperimentale e provocatorio. Il secondo segue David Letterman per le vie di Dublino, in attesa che arrivi la sera di un concerto per pochi intimi che vede protagonisti Bono e The Edge: interviste, incontri, risate, prove al pub, l’Irlanda, gli U2.
Il risultato dei due prodotti sta in una forbice. Vediamo.
Songs of surrender
Hai presente quando vai al pub con gli amici e bevi quel bicchiere di birra in più che ti dà il coraggio di sfoderare gli anni d’oro da gruppettaro prendendo la chitarra appesa al muro del locale?
Ecco. Deve essere successo questo ai nostri eroi.
Altrimenti non si spiegano le 40 (quaranta!) canzoni di questo album riviste in chiave “falò estivo”, con il sovrappiù della voce che si muove sull’onda del fuori tono. Tipo “oh, dai, falla più bassa/alta che non ci arrivo!”; “Se smettessi di fumare riusciresti… te lo dico sempre”; “Fumo quanto voglio, sono Bono”.
Giuro: le ho ascoltate tutte. Nel mucchio, come nei cestoni dei cd, una manciata (5/6) qualcosa offrono in cambio. Una sortita nella cover che cambia davvero le carte in tavola e rinfresca il brano. Ma ci sono anche numerose canzoni che ti chiedi il perchè; una o due che già erano brutte (proprio brutte, prive di guizzo o interesse) di loro e non migliorano di certo; e una generale sensazione che ci si rivolga proprio a quei fan che ormai si accontentano di qualsiasi cosa basta che siano gli U2.
Bono and The Edge “A Sort of homecoming” with David Letterman
La visione di questo film non può prescindere dal rapporto che lo spettatore ha con il gruppo irlandese. Quindi per scriverne si deve ragionare con la struttura di controllo “If… then…”.
Se indifferenti allora non cercare qui una ragione per avvicinarsi.
Se piacciono allora correre senza indugi alla visione. Senza indugi.
Se non piacciono allora non avvicinarsi neppure. Alla larga.
Detto questo. Il film è curioso perché ha vita propria. Restituisce in modo estremamente sintetico, l’aria dei tempi (quelli e questi) più che la storia della band in sé, che si presenta smezzata, sebbene il blocco ritmico sia sempre lì (una curiosa presenza/assenza che è però sempre stata quella: gli U2 sono da sempre Bono+TheEdge e MullenJr+Clayton, pensate ai progetti solisti delle due coppie).
Ha vita propria, scrivevo, ma è anche compendio essenziale all’ascolto del disco. Forse è proprio il disco ad avere necessità della stampella filmica, questa volta, per prendere un senso ulteriore, se non addirittura maggiore.
Gli U2 sono arrivati a un punto in cui hanno necessità di raccontarsi naked, privi di orpelli scenici, fuori dalla consueta rappresentazione che hanno fatto di sé negli anni (quanti Bono abbiamo conosciuto, da Sunday Bloody Sunday in poi…).
E dunque, nel film, ci mostrano le due anime. Quella sempre alla ricerca, che gonfia Every breaking wave di riverberi, echi e voci sovrapposte per trovare un centro che sfugge sempre un po’ più in là (cito, a memoria, “il perfezionamento della canzone”). E quella che scrive una canzone dedicata a Letterman che fa il bagno nelle acque gelide di Dublino per diventare, anche lui, parte di un rito, e che la usa come colonna dei titoli di coda. Una canzone ironica scritta in una notte per un amico americano che va a scoprire per la prima volta l’Irlanda. Una terra che abbraccia e che fa famiglia, una sera, in un pub, a cantare canzoni tradizionali e a provare un concerto in acustico per un piccolo pubblico selezionato.
Forse sta lì la questione: canzoni per amici, più che per i fan… un vero e proprio “ritorno a casa”.